Martha Cooper è una fotoreporter americana nata negli anni 40 a Baltimora. Suo padre era il proprietario di un negozio di fotografia e le regalò la sua prima macchina fotografica all’asilo.
In un intervista dice: “ ho fotografato i miei giocattoli e il mio cane. Dal quel momento non ho più smesso.”
Martha non si sente un artista ma si definisce una giornalista o una reporter.
“Mi è sempre interessato fotografare le persone durante le loro espressioni di creatività. Questo interesse mi ha portato a fotografare la street art e i graffiti. Amo questo mondo e amo ancora di più incontrare gli artisti.”
Martha Cooper nel 1978 era una dei 15 fotografi del New York Post, un quotidiano con sede a Manhattan. Martha passava le sue giornata in macchina alla ricerca di immagini, scatti casuali detti anche “scatti meteo”; per tornare al Post per sviluppare le sue fotografie doveva attraversare Alphabet City in quel periodo era un quartiere desolato ,abbandonato e inquietante solo i bambini lo trovavano un posto perfetto per giocare e Martha inizò a fotografarli e da lì a poco iniziò la sua passione per i graffiti.
Nel 1980 lascia il giornale per dedicare il suo tempo a fotografare i treni dipinti.
Il modo preferito per mostrarci le sue fotografie sono i libri .
“ i libri durano per sempre e non in un periodo limitato nel tempo.”
Bibliografia :
R.I.P.: New York Spraycan Memorials. Thames & Hudson 1994.
Hip Hop Files: Photographs 1979-1984. From Here to Fame 2004.
Street Play. From Here to Fame 2005.
We B*Girlz. text by Nika Kramer 2005.
New York State of Mind. PowerHouse 2007.
Tokyo Tattoo 1970. Dokument 2012.
Postcards from New York City. Dokument 2012.
Volete seguire Martha nei sui viaggi? Qui sotto trovate il link del suo profilo Istagram
Oggi vi voglio parlare di due fotografi italiani, Luigi Spina e Matteo de Mayada, hanno ricevuto il riconoscimento di miglior fotografi del 2020 da Artribune.
Luigi Spina è nato il 28 settembre 1966 a Santa Maria Capua Vetere. I temi principali dei suoi lavori fotografici sono i paesaggi, il mare , gli anfiteatri, il legame tra arte e fede e il confronto fisico con la scultura classica. L’ uso del bianco e nero per Luigi Spina è la base del suo lavoro, ha iniziato il suo percorso artistico fotografando paesaggi in bianco e nero ed ha dato il meglio di sé immortalando il patrimonio Canoviano.
“Canova in 4 tempi” è il risultato della ricerca fotografica in solitaria fra le stanze della Gipsoteca di Possagno. In questo volume vuole mostrare al pubblico le fasi creative e di realizzazione delle opere dello scultore Antonio Canova. La prima fase consiste nello studio , è il processo preparatorio dell’opera e la seconda fase è l’opera terminata.
Il fotografo ci spiega : “ Il gesso, è nel atto del concepimento dell’artista, il momento fragile e variabile del sentire il corpo della scultura.” I gessi non sono un opera finita ma hanno molta forza .
Mi è piaciuto molto anche il progetto Ritual Portraits sono una selezione di fotografie in bianco e nero, delle terra cotte provenienti dal santuario nel territorio di Teano. Se siete curiosi di vedere le fotografie di questo progetto, trovate il link qui sotto:
Il fotografo ha anche partecipato alla nona edizione del Festival Internazionel di fotografia di Roma con il progetto The Bunchner’s boxes.
Nel 2010 partecipa alla mostra di Napoli O’ VERO con il progetto fotografico Diario Mitico; il fotografo è stato incaricato di fotografare l’intera collezione Farnese con scopo di catalogazione e allo stesso tempo è iniziata una personale ricerca artistica e una produzione di 3.000 negativi in bianco e nero e 2.500 stampe. Ha pubblicato Diario Mitico nel 2017 in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Matteo de Mayada è nato il 1984 a Treviso e attualmente vive a Venezia. Il fotografo in questi ultimi anni si è focalizzato su temi sociali e ambientali. Nel 2019 con Era Mare ci racconta e ci mostra con le sue fotografie l’alta marea di Venezia.
Nel 2020 con il suo reportage a Vo’ Eugano ci mostra uno dei primi focolai di Coronavirus. Il fotografo ha documentato l’emergenza sanitaria nei dintorni di casa sua , tra il Veneto e il Friuli. Con i suoi scatti ci racconta la vita delle persone durante questo straordinario periodo storico.
In un intervista il fotografo dichiara : “ Da parte delle persone ho riscontrato la voglia di condividere la propria storia : ognuno era testimone a modo suo. Dal mio punto di vista, sono sempre stato abituato a fotografare storie e persone lontane da me. Questa volta è stato diverso perché ero parte della stessa cosa. Oltre al dialetto, condivido con loro gli stessi timori e la confusione che hanno caratterizzato questo periodo.”
“ Da quel momento ho iniziato a fotografare le attività essenziali rimaste aperte durante il lockdown e inseguito mi sono dedicato al per sonale sanitario.”
Il fotografo tiene anche workshop di fotografia e sul processo creativo presso diverse università italiane : Università la Sapienza di Roma, Università IUAV di Venezia e al NABA ( Nuova accademia di belle arti) di Milano.
E’ un artista molto attivo e negli ultimi 3 anni ha partecipato a diverse mostre: la Triennale di Milano 2021, Lettore in Fabula Bari settimana del libro fotografico 2020, Aarhus Danimarca 2020, Fotobok Festival Oslo 2020, The Gallery di Generali Milano 2019-2020, La fabbrica dello zucchero Rovigo 2019…
Per il mio compleanno ho voluto regalarmi questo libro, oggi voglio parlarne con voi. Fontana nel primo capitolo” Lo zen e la fotografia” inizia a parlarci della figura del cerchio.
Ho trovato questa riflessione molto bella e la voglio condividere con voi: ” La mia forma preferita è il cerchio, contiene tutto eppure è vuoto. Filosoficamente parlando, ha una caratteristica rara: come ogni cosa ha un inizio e una fine, solo che nessuno lì troverà mai. “Vuoto ” a noi occidentali fa paura anche solo la parola, figuriamoci il concetto. E’ sbagliato… Solo facendo il vuoto dentro di voi potrete conquistare libertà a sufficenza per imboccare una strada davvero vostra, senza fardelli, ne pesi morti. La mente libera contiene tutto, come il cerchio. Dovete fare in modo che contenga anche la macchina fotografica: la macchina non deve essere nelle vostre mani, ma nel vostro cuore. Deve essere parte di voi, costituire con voi un unità inscindibile, perché solo quando la macchina fotografica sarà nel fotografo e il fotografo nella macchina fotografica potranno fluire creatività e indipendenza. Io faccio cosi quando fotografo. A volte mi succede di trovare un paesaggio così irresistibile che dimentico tutto il resto. Lascio andare desideri, rancori, aspettative, fretta, il passato e il futuro, rimango solo io con la mia macchina fotografica e il paesaggio. Me ne lascio permeare: io divento il paesaggio e il paesaggio diventa me. Lo vivo. Permetto al paesaggio di riempire il mio vuoto , ne gioisco e solo allora scatto.
Franco Fontana, Puglia, 1987.
Continuando a leggere, sono ancora alle prime pagine del libro e mi rendo conto di ritrovarmi tantissimo nelle sue riflessioni; come me Franco Fontana è stato un autodidatta e per mantenersi ha svolto molti lavori : il salumiere, il montatore di antenne e negli anni 60 con dei soci vendeva arredamento. Durante il servizio militare rimane affascinato dagli scatti di un suo amico e decide di provare anche lui. Fotografava d’istinto senza sapere quello che faceva, come un bambino che si affaccia sul mondo.
Asfalti e paesaggi inediti.
Proseguo con la lettura e mi rendo conto finalmente di aver trovato un libro che non è il solito manuale di fotografia. Franco Fontana in questo libro ci vuole aiutare a cercare noi stessi e la nostra unicità fotografica, a risvegliare l’artista che è in noi, ci consiglia di non perdere mai la capacità di meravigliarci e di essere delle persone avventurose. Inoltre nel libro troviamo diversi esempi ed esercizi fotografici.
Piscina 1984.
Ho trovato molto interessante l’esercizio dell’ essere e dell’ apparire. Fontana ci chiede di metterci davanti allo specchio e diventare al contempo osservatore e osservato. L’esercizio consiste nel realizzare 12 autoscatti, 6 dovranno contenere la nostra apparenza e 6 la nostra essenza. Nei sei autoritratti dell’apparire dobbiamo mostrarci e valorizzarci al massimo, invece nei sei autoritratti dell’ essere dobbiamo trovare il modo di esprimere quello che siamo.
“Gli autoritratti dell’essere devono rimanere riservati, quello che vi sto chiedendo è una ricerca viscerale. Gli autoritratti dell’essere devono appartenervi al punto che nessuno a parte voi possa capirli.”
Io ho deciso di accettare questa sfida e scatterò gli autoritratti, presto vi farò vedere i risultati ottenuti.
Vi è piaciuto l’articolo? Siete curiosi? e volete leggere altri esercizi del libro , vi lascio qui sotto il link per acquistare il libro su Amazon.
Not everythig is black è un documentario del 2019 di Olmo Parenti, parla di sei persone non vedenti che raccontano la loro storia e il mondo che li circonda attraverso le fotografie che realizzano. La fotografia non è solo per vedenti ! Fotografare è giocare con la luce per comunicare uno stato d’animo, un momento particolare della nostra vita…Ne sanno qualcosa i protagonisti di questo documentario, compongono le loro fotografie usando il suono, il tatto, l’olfatto e la memoria che gli permettono di vedere perfettamente ogni fotografia che scattano.
Manuele uno dei protagonisti di questo documentario ci racconta come è riuscito a fare delle fotografie: ” Ho cercato di fotografare delle persone, un’anziana, un bambino che grida, una coppia che fuma una sigaretta, sento il rumore della pioggia, gli ombrelli che si aprono, sento l’odore del fumo, sento che ci sono un insieme di persone che vivono la propria vita e sento che non sono troppo vicini, riesco a fotografarli. “
Perchè un non vedente dovrebbe scattare una foto?“Da cieco l’immagine non mi interessa ma voglio condividere con l’altra persona l’emozione che ho provato in quel contesto.”
Olmo Parenti dichiara: ” il progetto è partito come un documentario sulla cecità ma nel momento in cui ho incontrato queste sei persone, ho capito che il mio modo di pormi, di fare domande era diverso dall’idea originale. Parlavo con loro come avrei fatto con chiunque altro.” In questo documentario emergono elementi della vita per il quale tutti noi gioiamo, soffriamo e ci sentiamo insicuri..
Nata a Santo Domingo nella Repubblica Domenicana ha iniziato il suo percorso artistico come ballerina all’ età di 3 anni e non ha mai smesso, con il passare del tempo sono emerse altre passioni, la pittura, le illustrazioni e la fotografia; si laurea in Storia dell’arte in Florida e attualmente vive e lavora a New York. Joshephine Cardin è un’ Artista nei suoi scatti riesce a unire l’amore per la danza, la pittura, illustrazione e crea delle opere d’arte.
Nei suoi autoritratti troviamo il movimento del corpo come mezzo per posare e buttare fuori l’oscurità e aggiunge elementi surreali come frecce, corde, corvi, radici, animali, fiori per scavare più a fondo nella storia di ogni serie fotografica. Il lavoro più conosciuto dell’ artista è Fell Likes sono fotografie monocromatiche modificate con l’uso di matite , carboncini e penne.
Fell likes Josephine Cardin
In una intervista dichiara di non preoccuparsi troppo della location, ma si concentra sulle emozioni, sull’umore e sul soggetto, questi elementi devono essere sempre presenti nelle sue fotografie.
Definisce il suo stile fotografico emozionale,trasformativo, intenso.
Trovo le sue fotografie bellissime, delle opere d’arte piene di emozioni intense, forti , vicine. Ho scoperto questa fotografa leggendo questo articolo :
Mi ha colpito subito e ho deciso di fare una piccola ricerca su di lei per conoscerla meglio. Vi lascio i link per andare a vedere il suo portfolio online e il suo profilo IG.
Oggi voglio raccontarti della mia passione per la fotografia. Da sempre mi piacciono le macchine fotografiche; mi ricordo che da bambina mi avevano regalato una macchina fotografica giocattolo, era di colore blu me lo ricordo ancora. Ogni volta che guardavo nel mirino e premevo il pulsante appariva un’immagine di Milano, Roma, Firenze ecc.. le classiche cartoline ricordo. La cosa che mi piaceva di più era quella di immedesimarmi in una fotografa e sognare di fare un sacco di foto in giro per il mondo. Qualche anno dopo mi è stata regalata da mio nonno la mia prima macchina fotografica analogica, è stato uno dei regali più belli della mia vita. Era diventata la mia migliore amica, me la portavo sempre con me e fotografavo di tutto, volevo fermare quei momenti… in realtà la cosa che mi piaceva ancora di più di scattare era andare a stampare i rullini fotografici e aspettare con ansia di avere quelle immagini in mano per guardarle e riguardarle più volte. Per tantissimi anni ho utilizzato questa macchina fotografica, anche con l’arrivo delle prime macchine digitali, io continuavo a usare lei , fino a quando non mi ha abbandonato. Purtroppo ho dovuto aspettare tantissimo tempo per riuscire ad averne una nuova, ma nel frattempo usavo le macchine fotografiche dei miei amici o me la facevo prestare. Finalmente un giorno mi sono decisa di comprare la mia prima macchina fotografica digitale, una Nikon semi professionale e ho iniziato a seguire i primi corsi base sulla fotografia, leggevo libri e studiavo manuali da sola, tutt’ora lo faccio. Da lì a poco ho iniziato a propormi come fotografa per eventi e concerti e nello stesso periodo ho avuto anche la possibilità di partecipare a mostre collettive, a progetti artistici… di queste esperienze ho un ricordo bellissimo, è stato un periodo di grandi soddisfazioni per me. Poco dopo ho deciso di andare a vivere da sola e di trasferirmi in Emilia-Romagna e per tanto tempo non ho più coltivato questa mia passione perchè ho dovuto affrontare diverse situazioni non facili, diversi trasferimenti per motivi di lavoro e tante altre cose… fortunatamente sono riuscita a superare tutti questi ostacoli, a trovare finalmente una certa stabilità e un lavoro che mi stimolava molto anche dal punto di vista artistico e ho finalmente ricominciato a scattare. In questo periodo della mia vita vivevo in un piccolo paese di montagna in provincia di Cesena, nel tempo libero passavo le mie giornate nei boschi con i miei cani e inizio a scoprire che amo fotografare la natura , i dettagli del bosco (fiori, radici, rami…) , i paesaggi. Sono fotografie che faccio per me, molti scatti non sono stati neanche pubblicati sui social e vado avanti così per un pò… pochi mesi fa ci trasferiamo in un’altra casa, 20 km più in giù, è circondata dal bosco, vicino a noi ci sono solo altre 3 famiglie, è un luogo molto silenzioso, tutto questo mi sta aiutando molto dal punto di vista creativo erano anni che non dedicavo così tanto tempo alla fotografia, pittura e ora anche alla scrittura ( ci provo). Mentre scrivo queste articolo tutti noi stiamo affrontando questo periodo di reclusione obbligatoria a modo nostro; io ho deciso di fare qualcosa per me, ho deciso di creare questo blog e parlarvi un pò di me.
Mi presento sono Sara e sono una fotografa compulsiva!
I fotografi che da sempre amo, in cui mi ritrovo e che mi hanno influenzata sono molti: Francesca Woodman, Man Ray, Helmut Newton, Diane Arbus ecc.. Voglio iniziare subito a parlarti di Francesca Woodman , fotografa statunitense nata a Denver nel 1958 era figlia di un pittore e di una ceramista.
” Io vorrei che le mie fotografie potessero condensare l’esperienza in piccole immagini complete, nelle quali tutto il mistero della paura o comunque ciò che rimane latente agli occhi dell’osservatore uscisse, come se derivasse dalla sua propria esperienza.”
Fù il padre a iniziarla alla fotografia, regalandole una macchina fotografica solo all’età di 13 anni. Francesca da subito si dedica all’autoritratto, il primo risale al 1972 (self-portrait at 13 Bouleder, Colorado).
Questo scatto è l’inizio di tutta la sua produzione; ha usato se stessa per esplorare temi come la proprio identità, introspezione, l’adolescenza, la sessualità… In solo 8 anni ha prodotto più di 10 mila negativi e 800 stampe, noi ne conosciamo solo un centinaio. E’ stata una fotografa provocatoria e dall’anima tormenta, il 19 gennaio 1981 decide di buttarsi da un palazzo di New York, nonostante una vita breve fù un’artista influente nel panorama artistico degli ultimi decenni del xx secolo.
Some Disorder Interior Geometris. La sua prima e unica collezione di fotografie applicate su quaderni scolastici del fine 800.
Man Ray è stato un pittore, un grafico, un’artigiano e un autore di film ma è conosciuto come fotografo surrealista.
“Personalmente, ho sempre preferito l’ispirazione all’ informazione.”
Fondò nel 1915 la ” Socety Indipendent Artist “con lo scopo di divulgare opere all’avanguardia. Dedicò molto tempo ai ritratti, nudo femminile e alla sperimentazione che lo portò all’invenzione di uno stile la “Rayografia” e all’uso della tecnica della solarizzazione. La Rayografia la scoprì nel 1921 fece scivolare un foglio di carta sensibile nella soluzione di sviluppo. La luce è in grado di lasciare una forma distorta di tutto ciò che tocca la pellicola.
La tecnica della solarizzazione invece consiste nella pratica di sviluppo dei negativi, i quali sovraesposti vanno incontro a un processo di inversione di toni.
Man Ray con le sue fotografie vuole creare un mondo dove le forme e le regole sono esasperate. Bisogna saper vedere per apprezzare la sua semplicità.
Michael Kenna è nato a Widness nel 1953, all’inizio sceglie la via della vocazione, vuole diventare un sacerdote ma a 17 anni inizia ad appassionarsi alla pittura e alla fotografia, inizia a frequentare la Bunbury School of art.
” Sento che le fotografie in bianco e nero sono generalmente più tranquille e misteriose di quelle a colori. Per me il bianco e nero ispira l’immaginazione dello spettatore e lo porta a completare il quadro con immaginazione. Il bianco e nero non cerca di competere con il mondo esterno e credo che persista di più a lungo nella nostra memoria visiva. “
Nato e cresciuto in una città industriale vicino a Liverpool, era un giovane solitario e passava le sue giornate nei parchi, stazioni ferroviarie, chiese vuote, fattorie… Tutti questi luoghi li troviamo nelle sue fotografie . Michael è famoso per i suoi paesaggi in bianco e nero. I posti che ha fotografato di più sono il Giappone, Cina, Francia e Italia (Emilia Romagna). Per realizzare i suo paesaggi usa tempi molto lunghi di apertura dell’otturatore, per prolungare i movimenti di luce delle stelle o per distendere il moto dell’acqua.
” Ho sempre detto che avrei potuto essere serenamente un fotografo senza pellicola nella macchina fotografica”
Diane Arbus nata a New York il 14 1923, seconda di tre figli cresce in una ricca famiglia e vive tra agi e iperprotettività.
” Ciò che preferisco è andare dove non sono mai stata.”
Diane a 12 anni inizia a manifestare il suo talento artistico, incomincia a dipingere, due anni dopo incontra Alan Arbus da lui impara il mestiere di fotografa e si sposano a 18 anni. La loro vita è piena di incontri con personaggi come Robert Frank, Stanley Kubrick… Nel 1957 divorziano e Diane inizia a cercare il suo percorso fotografico, esplora i sobborghi più poveri, spettacoli di travestimento e scopre il suo interesse per i Freaks, segue gli spettacoli del “Museo dei mostri di Hubert.” e fotografa i protagonisti.
Inizia a ricevere borse di studio, pubblica le sue immagini su diverse riviste, partecipa a mostre ma allo stesso tempo solleva aspre polemiche, le sue fotografie sono ritenute troppo forti e offensive ma Diane è già una fotografa riconosciuta. Durante gli ultimi anni di vita deve combattere contro la depressione e si ammala di epatite. Il 26 aprile 1971 si toglie la vita ingerendo una dose massiccia di barbiturici e incidendosi le vene.
“Molte persone vivono nel timore che possano subire qualche esperienza traumatica. I freaks sono nati con i loro traumi. Hanno già superato il loro test, nella vita. Sono degli aristocratici.“